RIFORMA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, IL MIO INTERVENTO IN AULA

La Riforma della Pubblica Amministrazione consentirà un Paese più efficiente, moderno, che sta al fianco dei cittadini. Stiamo cambiando per superare un sistema farraginoso, lento, complicato. Insomma, poniamo le basi per la modernizzazione dell’Italia. Ecco il mio intervento in Senato.

Grazie Signor Presidente, Onorevoli colleghi,
giunge in aula un provvedimento che l’Italia attende da tempo e che è cruciale per la modernizzazione del Paese. La riforma della Pubblica Amministrazione è stata ripetutamente indicata come una misura decisiva, ma è stata spesso invocata con spirito “benaltrista” rispetto alle varie riforme che la classe politica ha intrapreso. Questo atteggiamento non ha fatto difetto nemmeno nell’occasione delle riforme costituzionali e della legge 56 che ha dato seguito alla formazione delle città metropolitane, ma la spinta riformatrice che il Governo Renzi ha messo in campo non si è fermata e ha proposto non solo azioni immediate a fronte delle problematiche urgenti, con il decreto “Madia”, ma ha rilanciato con un coordinato insieme di norme e deleghe che non è eccessivo dire, rivoluzioneranno la Pubblica Amministrazione. Vedete colleghi non è irrilevante sottolineare questo fatto: stiamo riformando lo Stato Italiano, nelle sue varie articolazioni e livelli. Lo stiamo modernizzando, il che significa che stiamo cercando di renderlo fattore di competitività e non più freno alla piena espressione delle potenzialità di cittadini, famiglie e imprese. Su questo punto voglio citare un incontro pubblico che da giovane segretario comunale del Partito Popolare organizzai in occasione della campagna elettorale del 1996 quando era candidato al Senato nel collegio del mio territorio il prof. Andrea Manzella, il quale mi propose di invitare Beniamino Andreatta. Lo andai a prendere a Bologna e nel viaggio avemmo modo di parlare guarda caso della Pubblica Amministrazione, tema che egli riprese durante il suo discorso al pubblico facendo un esempio: se chiediamo a un funzionario della pubblica amministrazione francese di descrivere sinteticamente il suo lavoro ci sentiremo rispondere che consiste nell’aiutare lo sviluppo del proprio Paese; se facciamo la stessa domanda a un funzionario tedesco ci sentiremo rispondere che consiste nel facilitare la vita di cittadini e imprese; se poniamo la domanda a un funzionario italiano ci dirà che che lui  sta lì per fare rispettare la legge. Non era una barzelletta, ma un modo semplice per puntare l’attenzione sul deficit di proattività della PA italiana, posto che i funzionari Francesi e Tedeschi certamente anch’essi fanno rispettare le leggi. Qui c’è una parte importante della sfida che viene raccolta con questo DDL, di cui cito solamente gli art. 2-3-4 riguardanti la conferenza dei servizi, il silenzio assenso e il riordino dei regimi autorizzativi, ma sottolineando la decisività della attuazione dell’art.1 sulla cittadinanza digitale che diventa il principale criterio ordinatore della nuova PA. In secondo luogo modernizzare lo stato significa che stiamo cercando di renderlo fattore di omogeneità nel Paese e non di differenze. Su questo punto voglio soffermarmi perché ritengo che sia un aspetto tenuto troppo sottotraccia. Le forbici che dividono il Paese sono tante, ma non possiamo permetterci più che fattore di queste differenze sia la disomogeneità della pubblica amministrazione. Lo dico sapendo che provengo da una regione, l’Emilia Romagna, che a ragione è spesso guardata come riferimento per procedure, organizzazione, capacità di controllo e di programmazione della spesa. Ma anche in Emilia Romagna abbiamo consapevolezza di due cose: la prima, che tra l’altro il nuovo presidente Bonaccini ha messo in testa al suo programma, è la semplificazione normativa; la seconda è la partecipazione ad un comune impegno per rendere omogeneo il Paese che non può vedere territori “in fuga” attraverso procedure “avanzatissime” perché le forbici si aprono con il movimento di tutte e due le lame. Faccio un esempio molto chiaro. L’introduzione della TARI è avvenuta nel momento in cui era concluso da tempo per buona parte dei comuni dell’Emilia Romagna, il passaggio da tassa a tariffa. Molti comuni avevano già smantellato gli uffici di riscossione della tassa rifiuti e del recupero morosità connesso, perché centinaia di migliaia di cittadini pagavano già la bolletta al gestore del servizio e oggi li hanno dovuti riattrezzare dovendo gestire anche gli sbilanci finanziari tra quanto devono versare al gestore del servizio e quanto riscuotono con la Tari. Siamo tornati indietro, almeno io la penso così, anche se devo riconoscere che in Italia non si può  mai essere sicuri se il senso che stiamo percorrendo sia l’avanti o l’indietro, ma questa riforma della PA deve fare questo: stabilire nel breve, nel medio e nel lungo periodo il senso dell’andare avanti. Per concludere questo inciso voglio anche dare una luce che metta in rilievo la riforma Boschi del Senato che stiamo portando avanti nei due rami del Parlamento. Il Senato delle regioni va visto anche come una grande opportunità per ridurre le forbici, dare omogeneità ai corpi normativi di competenza regionale, in definitiva rendere più unita l’Italia, anche attraverso il confronto quotidiano che il senato riformato nella sua nuova composizione renderà possibile. In terzo luogo, modernizzare lo stato significa che stiamo cercando di renderlo adeguato a tutti i livelli istituzionali e amministrativi, ai suoi essenziali compiti di azione, di tutela e di garanzia evitando di vederlo disordinatamente presente in troppi ambiti che non gli competono. Questo è un tema cruciale se si vuole dare un senso alla ricorrente discussione sul ridimensionamento della spesa pubblica. Ma in questi pochi minuti mi interessa aprire un inciso sulle società partecipate di gestione dei servizi pubblici locali. Se in una prima fase storica la creazione di società strumentali con l’esternalizzazione dei servizi ha avuto il merito di identificare la dimensione di centri di costo che non erano riconoscibili all’interno dei bilanci comunali, la successiva normativa ha sviluppato con sufficiente coerenza una visione sostanzialmente industriale, basata sulla convinzione che le reti infrastrutturali sono fattore decisivo della competitività di un territorio. Le reti infrastrutturali, gli assets,  sono detenute dai territori, ma sono gestite imprenditorialmente e l’efficienza della gestione imprenditoriale si verifica solo con quel check point che è la messa a gara dei servizi. Gli Enti locali controllano l’adeguatezza dei costi del servizio anche in relazione agli investimenti che sviluppano e mantengono l’efficienza delle reti. Anche qui mi rendo conto di avere alle spalle un territorio, quello emiliano romagnolo, dove i comuni, centinaia di comuni, hanno condiviso una scelta strategica. La storica presenza delle società municipalizzate ha rappresentato un importante patrimonio di Pagina  di 5 7
competenze tecniche e umane, di investimenti delle comunità locali che nei decenni hanno reso pari opportunità ai cittadini, ma soprattutto ha reso possibile un grande livello di sostenibilità del nostro sviluppo, anche quando il concetto non era così diffuso nella coscienza dei cittadini. Allora la scelta quale è stata? Efficientare le aziende, riorganizzarle, dare loro massa critica, costituire economie di scala che ci dessero la possibilità di vincere le gare e continuare a gestire con le nostre società i servizi pubblici locali, proprio per non svendere tutto quel patrimonio formato in decenni e che proprio con questa scelta aveva la grande possibilità di essere non solo adeguato nella somministrazione dei servizi, ma poteva restituire risorse alle comunità. Quindi per me è già chiaro, ma mi rendo conto che non lo è per tutti, che c’è un equilibrio raggiungibile e sempre migliorabile tra la qualità del servizio, la dimensione delle tariffe, la remunerazione dei capitali investiti e questo equilibrio si raggiunge solo su scale territoriali più vaste del comune. Infine va detto che se non ci sono dubbi sulla proprietà pubblica degli assets, sull’acqua per esempio la proprietà pubblica delle fonti,  oggi è più vaga la definizione dell’intensità della presenza pubblica nel capitale delle società. Stiamo assistendo a comportamenti ambivalenti: in nome della conquista di una terzietà, si chiede la vendita da parte dei comuni di tutte le loro azioni, poi per  emergono posizioni che pretendono la maggioranza pubblica del capitale delle società. Il lavoro importante fatto in commissione dal Relatore Pagliari credo abbia dato al Governo, alla Ministra Madia e al Sottosegretario Rughetti, molti elementi migliorativi di valutazione che potranno tradursi in decreti delegati che vincano l’inerzia del sistema attuale e attivino le trasformazioni e gli adeguamenti attesi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *