RIFORME COSTITUZIONALI, IL MIO INTERVENTO IN AULA

Basta rinvii, è tempo della responsabilità e della concretezza.

Il testo integrale del mio intervento in Aula, in occasione della discussione del ddl costituzionale riguardante la revisione della Parte II della Costituzione:

“Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, è evidente che intervenire in questa discussione generale ha un sapore un po’ strano, perché sono discorsi che abbiamo fatto in tante occasioni e che si inseguono anche in tante altre sedi – ad esempio sui giornali – dove la strumentalità spesso prevale e il merito scompare.

Insieme, in quest’Aula, spesso assistiamo a momenti nei quali vanno in onda delle esercitazioni di ostruzionismo e di confronto su quelle che possono essere le modalità per rendere impossibile la gestione dei lavori e la loro prosecuzione, cercando di affrontare quello che è un nostro dovere e un nostro compito, che ci hanno assegnato gli italiani e che abbiamo assunto, tutti quanti, il giorno che abbiamo applaudito all’elezione del presidente Napolitano in seduta comune alla Camera. In quel momento, credo che abbiamo preso un impegno ed abbiamo capito tutti, Camera e Senato, deputati e senatori, che questa legislatura non poteva andare perduta e non poteva essere inutile, ma aveva la fortissima necessità di ridare credibilità alla politica, facendo vedere che è capace di decidere, di prendersi delle responsabilità e di ridare al Paese e ai cittadini la sensazione che la regola che prevale, e che ha prevalso sempre in questo Paese, oggi non vale più.

Qual è questa regola? È quella del rinvio. La nostra democrazia ha sempre trovato una soluzione ai problemi, che è sempre stata, però, il rinvio. È sempre stata la necessità di trasportare in avanti i problemi, di non andare mai a fondo nelle questioni, di non trovare mai la forza e la capacità di prendersi delle responsabilità davanti ai cittadini, perché tanto ci saremmo tornati, la colpa non sarebbe stata di nessuno e ci saremmo potuti ripresentare ai cittadini dicendo che è vero che avevamo detto che avremmo fatto delle cose, ma che non ci siamo riusciti perché la colpa è di un altro. No, noi oggi stiamo cercando di prenderci delle responsabilità di fronte ai cittadini, perché abbiamo promesso delle cose e ci siamo presi degli impegni. E, la prossima volta che torneremo davanti a loro, diremo che quegli impegni li abbiamo rispettati e che le cose le abbiamo fatte, certo con tutte le difficoltà, con tutte le necessità e tutti i limiti che sono anche nostri. Come tutte le persone umane, abbiamo, infatti, la necessità di tener conto di tante situazioni. Ma credo che questo sia l’impegno più importante e forte che abbiamo davanti ed è nostra la responsabilità.

Vedete, non stiamo modificando il Senato in termini di addizione o di sottrazione di competenze rispetto a quello che facciamo noi oggi. Questo non è un pensiero mio, ma lo ha espresso il presidente Napolitano in discussione generale in Commissione. Io credo che questo sia da sottolineare, perché noi stiamo facendo una cosa nuova. Qui tutti intervengono su cosa fa il Senato attuale rispetto al nuovo Senato e su quali sono le modifiche rispetto alle competenze che oggi abbiamo. Ma tali competenze hanno dimostrato ampiamente i loro limiti all’interno della configurazione del bicameralismo paritario. Oggi facciamo una cosa diversa: andiamo verso un sostanziale monocameralismo, cui aggiungiamo una nuova Camera che si chiama Senato (allo stesso modo), con la quale cerchiamo di raccogliere la realtà di un’articolazione delle istituzioni locali e territoriali che in questi anni si è abbondantemente strutturata. È diventata importante la necessità di relazionarsi in modo positivo con il potere centrale, in un rapporto che non è fatto solamente di competenze definite dalla Costituzione, che pure sono importanti e sulle quali siamo andati ad operare, ma anche della definizione di nuovi procedimenti legislativi, nei quali i rappresentanti dei territori e quelli politici intervengono congiuntamente. Questa è l’essenza del lavoro che stiamo facendo e mi sembra un obiettivo talmente importante ed alto che non può andare deluso rispetto alle attese che ci sono e anche alla realtà del nostro Paese.

Oggi, in tanti utilizzano l’argomento, che abbiamo già sentito in vari interventi, secondo cui piuttosto che istituire un tale Senato, sarebbe meglio chiuderlo. Credo che sarebbe un gravissimo segno di resa, perché dobbiamo tenere in considerazione con forza l’articolazione della realtà istituzionale del nostro Paese, che è fatta di Comuni e Regioni.

Quale è dunque – a mio parere – l’obiettivo fondamentale di questa riforma che, tra gli altri, mi sta particolarmente a cuore? È la riduzione delle forbici nel nostro Paese, che abbiamo già ridotto e stiamo riducendo anche attraverso altre riforme, che pure ricevono giudizi molto aspri. Fare la riforma della pubblica amministrazione significa proprio avere l’obiettivo di ridare omogeneità al Paese e ridurre le forbici. Fare la riforma del terzo settore significa liberare le energie positive distribuite in tutto il Paese. Fare la riforma del lavoro significa rimettere in condizione il nostro Paese di aver opportunità positive, da questo punto di vista, in tutte le parti del suo territorio. Istituire oggi il Senato delle Regioni significa creare un luogo dove queste forbici possono essere ridotte ed affrontate in modo positivo, proprio grazie al confronto costante da parte dei rappresentanti provenienti dalle Regioni e dalle città. Credo che questo sia un tema di competitività del Paese, di democrazia, di uguaglianza e solidarietà. Occorre, dunque, comprendere l’importanza delle riforme costituzionali, con riferimento a questi scopi ed obiettivi, che rappresentano il punto fondamentale per il nostro Paese. Non possiamo essere un Paese tagliato a metà, con realtà che vanno a 100 all’ora ed altre ferme o che vanno addirittura indietro, confidando nel fatto che tanto poi ci pensa la media matematica a restituire un indice di crescita complessivo, composto dagli indici superpositivi che si registrano in alcune parti del Paese e da altri negativi, fino ad arrivare ad un dato di crescita media dello 0,7 per cento.

Dobbiamo essere capaci di ridare una speranza al nostro Paese, che nasce dalla politica, dalla capacità di rappresentare i territori e di mettere in campo dinamiche decisionali capaci di dare risposte concrete. Credo che su questo punto possiamo recuperare consapevolezza e spazio per un confronto che ci porti a valutare punti di incontro che ci facciano esprimere con forza un appoggio a questa riforma. Credo che i cittadini che incontriamo – tutti noi spesso li incontriamo e nessuno ha la prerogativa o il privilegio esclusivo di incontrarli, perché tutti li rappresentiamo e abbiamo punti di riferimento – o almeno i tanti che incontro io, ci stiano chiedendo di far fare un salto di qualità al nostro Paese, anche attraverso una presa di responsabilità da parte della politica.

Voglio aggiungere solo alcuni aspetti: è chiaro che in questa discussione stiamo vivendo anche aspetti contraddittori. In tante situazioni emergono elementi che ci fanno capire che tutto ciò che facciamo va misurato in una dialettica parlamentare, politica e partitica. Spesso è in questi confronti che nascono contraddizioni, che vengono poi utilizzate e agitate in molti casi in modo strumentale. Credo però che gli esempi che abbiamo ci stiano dimostrando, in parallelo, quanto quello che stiamo proponendo sia in realtà testato sul territorio e faccia ampiamente parte di una consapevolezza dei cittadini e di un’identità democratica diffusa che mi fa dire che, in fin dei conti, la nostra è una democrazia matura, che i cittadini sono maturi per affrontare questo tipo di organizzazione dello Stato. È quanto vediamo, ad esempio, nei Comuni, dove i cittadini votano il sindaco, che governa per cinque anni, con un mandato pieno e con una capacità di affrontare i problemi della comunità locale, spesso in modo molto più vicino alle esigenze dei singoli cittadini, con una dinamica considerata ampiamente positiva da tutte le forze politiche.

Un esempio di grande coerenza da questo punto di vista è quello del Movimento 5 Stelle, che alle elezioni provinciali non si è mai presentato, non ha fatto liste. Quando allora con questa riforma costituzionale si aboliscono le Province, facciamo qualcosa che nei fatti il Movimento 5 Stelle già da tempo ritiene giusta, talmente giusta da non partecipare alle elezioni. Per quanto riguarda invece i Comuni e le Regioni, c’è piena consapevolezza di quanto sia elevato il livello di maturità della cittadinanza e delle istituzioni, perché lavoriamo ed adoperiamo gli strumenti che servono per dare vita a queste istituzioni e a questi consessi democraticamente eletti con forme che consentono la governabilità e l’attuazione dei programmi, così da poter tornare dai cittadini a chiedere un loro giudizio di conferma o di disapprovazione. Questi sono i sistemi che ci consentono di restituire competitività al nostro Paese, di fare un salto anche temporale rispetto alla modernità, rispetto agli altri Paesi, che vediamo oggi con quale capacità e tempestività sanno affrontare problemi anche molto importanti. Ciò significa uscire dalle logiche dell’emergenza, significa darsi delle strategie ed avere la possibilità, con questa riforma, di mettere le istituzioni e la politica in condizione, non dico di stare davanti ai processi e di governarli pienamente, perché il mondo è globalizzato e ci sono ampi margini di incontrollabilità, ma di fare un grande passo in avanti in termini di adeguatezza e di modernizzazione del nostro Paese, rispetto agli impegni e ai doveri che la classe politica ha nei confronti dei cittadini, delle imprese e delle famiglie.”

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