Minniti si deve candidare con un preambolo politico e metodologico. E proporsi come candidatura unitaria per gestire un percorso che ha bisogno di tempo
L’attesa che prelude alla candidatura di Minniti, genera una positiva serie di riflessioni che in questo periodo rimbalzano da varie parti e penso che una di queste possa essere la seguente.
Marco Minniti, a mio avviso, si deve candidare con un preambolo politico e metodologico. Il congresso che sta venendo fuori oggi, non è il congresso che può permettere al PD di fare un salto di qualità. Il Partito Democratico ha bisogno di essere attraversato in modo vero e significativo da una quantità di riflessioni sui temi che disegnano il futuro della nostra società e delle nostre comunità (italiana, europea e mondiale).
Questo percorso va fatto seriamente e non sono le convenzioni di circolo previste dall’iter congressuale che ci permetteranno questo confronto, che invece deve svolgersi in un arco di tempo appropriato. Minniti deve proporsi al PD con questa premessa che rappresenta la risposta giusta alla deriva a cui il governo pentaleghista ha obbligato l’Italia. E deve proporsi come candidatura unitaria per gestire questo percorso che ha bisogno di tempo per snodarsi con l’adeguata possibilità di incrociare qualcosa e qualcuno in questo nostro Paese.
Le altre candidature già in campo devono esprimere il senso di responsabilità necessario a dire SI al percorso di Minniti, proprio perché questo percorso è la migliore occasione per fare emergere tutte le prospettive proposte anche da loro. Qualora ci fosse chi dice NO, Minniti resterebbe in campo ugualmente con questa forte progettualità unitaria.
Tutto ciò ha senso perché quel che non regge più, tra le tante cose dei vecchi schemi del mondo precedente di stampo pseudo maggioritario, è un partito che si conta al congresso con l’idea che chi vince detterà la linea e tutti gli altri vi si dovranno adeguare. Questa impostazione maggioritaria, purtroppo non ha funzionato con effetti di varia intensità, dalla sfiducia di una base che non sopporta i continui distinguo tra i dirigenti, fino alle estreme conseguenze delle scissioni. Ora la cosa curiosa è che coloro che in questi anni di sistema pseudo maggioritario hanno combattuto con forza questo schema, stiano dando la precisa impressione di pretenderne l’applicazione ancora per il futuro solo perché, magari, forse, pensano, intravedono la possibilità di vincere il Congresso che si dovesse tenere subito.
Per essere chiari, lo voglio dire ironicamente ma senza alcuna volontà di mancare di rispetto ad alcuno, su questo punto non ci vuole la sfera di cristallo per immaginare che il nuovo segretario del PD che venisse eletto in primavera senza il preambolo di cui sopra, a seguito dei “prevedibili successi” del PD alle elezioni europee e alla grande tornata amministrativa delle regionali e dei comuni, non godrà della solidarietà incondizionata di tutti, quanto piuttosto, chiunque egli sia, sarà messo in croce come tutti i segretari del PD che perdono le elezioni.
Giunti fino a qui nel ragionamento, mi rendo conto che l’obiezione naturale è che quello che io chiamo per brevità “il preambolo Minniti” non ha possibilità di diventare uno scenario reale. Sia perché dentro al PD si riesce a litigare dicendo sostanzialmente le stesse cose, sia perché l’analisi del contesto può far da base a ragionamenti contrapposti. La prima osservazione si è evidenziata nel momento in cui Orfini ha affermato che il PD sia da chiudere per dare vita a un nuovo contenitore in grado di essere maggiormente aperto, inclusivo e dotato di capacità espansiva. Cuperlo ha reagito energicamente sottolineando come il PD non vada chiuso ma occorra dargli un nuovo Statuto, una nuova classe dirigente e una nuova organizzazione.. che nella sostanza è una affermazione esattamente sovrapponibile a quella di Orfini.
La seconda osservazione si evidenzia nel fatto che le numerose e utili analisi sociali economiche e politiche che descrivono la crisi del Partito Democratico e della sinistra in Italia e in Europa si prestano in maniera ambivalente, come base sia per disegnare un percorso di ricostruzione unitaria del PD ma anche come base per un percorso alternativo che veda la nascita di due forze distinte capaci di articolare e rappresentare meglio una prospettiva politica ampia e composita.
Allora mi permetto di concludere tornando all’inizio perché qui riemerge l’utilità del “preambolo Minniti”. Se il percorso di ridefinizione della prospettiva politica del centro sinistra italiano può sfociare in entrambe le conclusioni, qualunque essa sia deve rappresentare sempre una presa di consapevolezza e non un finale traumatico. Il “preambolo Minniti”, se accolto non produrrà una unità finta e coercitiva e neppure l’ennesima frattura sanguinosa della sinistra quanto invece o un’unità responsabile o una divisione capace di costruire nuove alleanze collaborative ed espansive: affinché il motto “da Tsipras a Macron” generi in Italia un nuovo e sostenibile centrosinistra europeista.