EUROPEE 2014: DALLE URNE EMERGE DESIDERIO DI UN’EUROPA DIVERSA

di Andrea Piazza – Le elezioni europee 2014 saranno ricordate principalmente per due motivi. Innanzitutto per la prima volta dal 1979 – introduzione dell’elezione diretta del Parlamento Europeo – l’affluenza non è diminuita. Anzi, è leggermente aumentata, dal 43 al 43.1% (grazie alla maggiore partecipazione in Germania, Francia e Regno Unito, che ha bilanciato il calo In Italia, Irlanda e diversi paesi centroeuropei). Ciononostante sono sempre pochi i cittadini che decidono di recarsi alle urne, confinando le europee a un luogo di secondo ordine e a una minore importanza rispetto ad altre competizioni elettorali.

Il secondo aspetto è che nessun partito europeo può intestarsi la vittoria. Infatti, secondo gli ultimi apparentamenti (gli eletti in ciascuno stato membro devono dichiarare il gruppo di appartenenza), il Partito Popolare Europeo perderebbe una cinquantina di seggi, i liberali circa 20, mentre i Verdi calerebbero di un paio di eurodeputati. A sinistra invece i socialdemocratici ne guadagnerebbero solo 5, mentre la Sinistra europea farebbe un piccolo balzo in avanti con 15 seggi in più. Da notare che senza il successo del PD probabilmente il gruppo parlamentare del PSE (che si chiama Socialisti e Democratici) si sarebbe ritrovato con meno seggi del 2009. Chi può dirsi più soddisfatto sono invece i partiti euroscettici delle destre nazionalista (i Conservatori e Riformisti Europei in cui siedono i Tories britannici), populista (l’Europa della Libertà e della Democrazia, guidata dall’inglese Nigel Farage) e propriamente estremista (il gruppo che cerca di coagularsi attorno alla francese Marine Le Pen e all’olandese Geert Wilders).

EMICICLO

Pur rimanendo in stretta minoranza e pur non avendo la forza per bloccare i lavori del Parlamento, questi tre raggruppamenti più o meno anti Unione Europea rappresenterebbero oltre 120 eurodeputati, suonando un campanello d’allarme per il progetto dell’integrazione europea. A questo si aggiunga il fatto che anche il Movimento 5 Stelle sembra orientato a unirsi a EFD, visto lo stato avanzato delle negoziazioni fra Beppe Grillo e Nigel Farage. Troviamo infine un consistente gruppo di non inscritti, che non fanno parte dei raggruppamenti tradizionali e mantengono una posizione più indipendente (e anche meno influente, avendo ben poche risorse finanziarie, legislative e di tempo durante i lavori dell’Europarlamento).

Se andiamo a guardare alla composizione territoriale del voto, la frammentazione del Parlamento Europeo si rispecchia in una mappa molto eterogenea. Il PPE vince in stati chiave come la Germania, la Spagna e la Polonia, ma è ben lontano dal successo del 2009. Il PSE porta a casa l’Italia, la Romania e la Svezia, ma complessivamente arriva primo in soli 6 stati su 28 (considerando anche la piccola Malta). Infine anche i liberali si aggiudicano quattro stati (a dire la verità non di grandi dimensioni), mentre la Sinistra radicale vince solo nella patria di Alexis Tsipras, la Grecia. Quello che colpisce è il successo della estrema destra in Francia con il Fronte Nazionale (25%), e la vittoria dello euroscettico UKIP (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito) in Gran Bretagna (27%). Il primo a scapito del sempre meno popolare François Hollande, il secondo a sfavore dei Conservatori di David Cameron.

MAPPA

In tutti i paesi quindi crescono i partiti che protestano contro le politiche dell’Unione Europea o contro la stessa idea di cooperazione fra paesi europei. La sinistra anti austerity ha avuto risultati importanti in Irlanda, Portogallo e Spagna, mentre nella stessa Germania la CDU di Angela Merkel ha visto il proprio consenso calare rispetto alle elezioni dello scorso anno, perdendo molti elettori verso Alternativa per la Germania, la lista conservatrice che propone il ritorno al marco tedesco. In questo scenario confuso si inserisce la difficile trattativa per la scelta di chi guiderà la prossima Commissione Europea, il massimo organo sovranazionale dell’UE. Secondo i trattati la nomina proviene dai capi di stato e di governo, ma deve essere approvata dal Parlamento Europeo. Ora, in quest’ultimo non esiste una maggioranza né di centrosinistra né di centrodestra, e ciò complica ulteriormente le trattative. I candidati dei 5 gruppi più europeisti e importanti (PPE, Socialisti e Democratici, ALDE, Verdi e Sinistra europea) si sono impegnati a sostenere uno fra loro, ma i capi dei governi nazionali potrebbero essere di un’altra opinione, come la cancelliera Merkel non ha mancato di far notare diverse volte. La battaglia per l’Europa quindi continua, e nei prossimi mesi scopriremo se il messaggio uscito dalle urne (Europa più solidale e più politica, meno restrittiva e tecnica) sarà tramutato in risposte oppure no.

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