Per uno sport che educhi e non divida

«Questo trofeo, fin dal 1993 nella sua prima edizione all’estero, è stato il biglietto da visita per esportare e promuovere il calcio italiano nel mondo. Abbiamo giocato questa competizione due volte negli Stati Uniti, quattro volte in Cina, così come in Qatar e in Libia. La scelta di portare il calcio in aree che differiscono per cultura e per tipologie di governo non è una decisione solo italiana, ma ha altri esempi internazionali poiché lo sport ha sempre più bisogno di platee globali per crescere».

Con queste parole Gaetano Micciché (Presidente Lega Serie A) risponde alle polemiche delle ultime settimane che si sono create attorno alla partita di Supercoppa italiana tra Juventus e Milan, in programma oggi a Jeddah (Arabia Saudita).

In parte condivido le parole di Miccichè ma il finale della frase mi lascia amareggiato se rifletto a quanto successo in queste settimane.
Ritengo sia giusto e doveroso promuovere il calcio e, in generale, la cultura sportiva italiana al di fuori della nostra penisola, considerando anche le importanti pagine di storia sportiva (europea e mondiale) che la nostra Nazionale ha scritto nelle diverse discipline.

Credo però che questo debba essere fatto con coerenza, rispettando sempre i sani valori trasmessi dallo sport, perché sono la ragione stessa per cui lo questo deve essere promosso, esportato e sostenuto in Italia e all’estero.
L’importante aspetto etico ed educativo dello sport, inteso sia come gioco che come attività fisica, non deve passare in secondo piano rispetto agli interessi economici.

Avendo questa considerazione e proprio perché mi reputo un grande amante del calcio, non posso condividere la scelta di giocare la Supercoppa italiana in Arabia Saudita, proprio perché si è preferito il profitto economico e l’ingiustizia sociale alla libertà e all’uguaglianza.
Giocare la partita in Arabia Saudita e accettare le condizioni imposte significa voltare le spalle a tante situazioni o episodi da denunciare per i quali il regime del Golfo è responsabile e colpevole.

L’Arabia Saudita è un paese autocratico e repressivo che, tutt’oggi, considera le donne come cittadini di secondo ordine rispetto agli uomini, per questo si trovano a condurre una difficile convivenza tra limiti, impossibilità e diritti non riconosciuti. Questo è inaccettabile.

Lo sport, in questo caso il calcio, poteva essere la giusta occasione per fare un passo avanti, ovvero per superare la condizione di apartheid e le barriere sociali. Sono consapevole che sia difficile e impegnativo fare ciò, perché queste dure condizioni trovano le radici in un forte contesto storico-culturale di stampo religioso, ma è grave non reagire a queste assurde privazioni.

Rileggendo le parole di Miccichè e del “biglietto da visita” per le platee globali, penso che questa volta le prestazioni sportive che si vedranno in campo saranno meno efficaci delle belle azioni a cui avremo potuto assistere fuori dal rettangolo di gioco, ai vertici della Lega Serie A intendo, se il fine di tutto ciò consiste veramente nella promozione di una cultura sportiva.

Oggi il calcio, e quindi lo sport, ha fallito la sua missione e ne sono molto dispiaciuto.
In un periodo grigio e preoccupante, considerando anche gli ultimi avvenimenti accaduti in italia legati al mondo del tifo organizzato, la Supercoppa e la conquista di diritti in nome dell’uguaglianza poteva essere un segno esemplare di speranza.

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