LE SFIDE EUROPEE CHE ASPETTANO FEDERICA MOGHERINI

di Andrea Piazza* – Due le nomine che per prime sono state decise dal Consiglio Europeo, che riunisce i capi di stato e di governo dell’UE: il premier polacco Donald Tusk come Presidente del Consiglio stesso, e la ministro degli Esteri italiana Federica Mogherini come Alto Rappresentante dell’Unione. Aldilà delle naturali considerazioni geopolitiche che precedono ogni nomina in ambito europeo (bilanciamento territoriale, di genere, di affiliazione politica), senza alcun dubbio ha avuto rilevanza la forte indicazione da parte di due fra i capi di governo più influenti nell’Unione. Da una parte abbiamo infatti la pressione di Angela Merkel per Tusk, membro del Partito Popolare Europeo e sostenitore delle politiche di rigore, dall’altra l’appoggio di Matteo Renzi per Mogherini, emanazione di un PSE a trazione italiana. La nuova “lady Pesc” (Politica estera e di sicurezza comune) subentrerà dunque fra due mesi alla scarsamente incisiva Catherine Ashton, la baronessa inglese con passato come commissario europeo al commercio che non è riuscita – prevedibilmente, direbbero alcuni – a dare una maggiore dinamicità alla diplomazia europea.
Federica Mogherini, laureata in Scienze Politiche, un passato da funzionaria e dirigente di partito per i DS e il PD, è stata eletta per la prima volta alla Camera nel 2008. Seria e competente, vanta ottimi rapporti tanto con i socialisti europei, quanto con i democratici americani. La sua nomina, salutata con entusiasmo da parte del PSE, non ha tuttavia riscosso unanimi consensi. Le Monde e il Financial Times ne hanno criticato la mancanza di esperienza, mentre numerosi osservatori nell’Est Europa hanno sottolineato infastiditi il suo approccio dialogante con la Russia di Vladimir Putin. Una partenza in salita per la nuova Alto Rappresentante?A una prima occhiata potrebbe sembrare così, specie se si confronta la sua nomina con quella del socialista spagnolo Javier Solana (che ricoprì la carica dal 1999 al 2005), politico di lungo corso e già Segretario generale della NATO. Tuttavia bisogna ricordare che neanche una leadership autorevole come quella di Solana riuscì a imprimere una svolta alla politica estera dell’UE, attraversata allora da profonde divisioni riguardo agli interventi militari in Afghanistan e Iraq e alla posizione da tenere nei confronti di Israele. Il successo o meno del mandato di Federica Mogherini si giocherà quindi su come il nuovo Alto Rappresentante (che è anche vicepresidente della Commissione) riuscirà a relazionarsi con i governi degli stati membri, e se riuscirà a costruire una maggiore unità fra i partner europei.Nel dettaglio, due sono le sfide che si delineano all’orizzonte. In primis, reagire al fallimento del Partenariato orientale, che doveva promuovere il rispetto dei diritti umani, l’instaurazione della democrazia e dell’economia di mercato in sei paesi dell’Europa orientale (Bielorussia, Moldavia, Ucraina) e del Caucaso (Georgia, Armenia, Azerbaijan). 5 anni dopo la sua approvazione, il partenariato presenta un bilancio del tutto insoddisfacente, fra autoritarismi che si sono rafforzati invece di liberalizzarsi (Lukashenko a Minsk) e stati soggetti a spinte centrifughe e secessioni (Moldavia, Georgia e Ucraina). Riuscirà Federica Mogherini a guidare una necessaria ristrutturazione delle politiche comunitarie verso Est? Quale ruolo giocherà la Commissione di cui lei fa parte nel predisporre una posizione comune nei confronti di una Russia sempre più audace nelle proprie sfide all’UE? La difficoltà sarà nel trovare un orientamento unitario fra paesi orientali, a favore di un approccio più rigido, e le potenze che rimangono su posizioni più caute (fra cui si annoverano la Germania e l’Italia) che tanto hanno da perdere da una potenziale guerra commerciale con Mosca.Il secondo fronte aperto per l’UE è a Sud, dove i fallimenti del Processo di Barcellona (1995), anch’esso volto a garantire la stabilità dell’area mediterranea, sono altrettanto evidenti. Rimane da chiarire la posizione della prossima Commissione sul potenziamento dell’agenzia europea Frontex, che si occupa del pattugliamento delle frontiere navali dell’UE e della gestione delle politiche migratorie. Si riuscirà a governare l’emergenza dei flussi migratori che provengono da una Libia attraversata dai postumi di una guerra civile? Che dialogo intesserà l’Unione coi governi dei paesi del Mediterraneo per promuovere il libero scambio e le buone relazioni di vicinato, mentre si evitano violazioni dei diritti umani e la proliferazione del terrorismo?

Per concludere, si può dire che i fallimenti dell’UE in materia di politica estera siano chiari. Più difficili da individuare sono le strategie per porvi rimedio, considerando la presenza di 28 stati membri, con interessi nazionali in ballo su diverse scacchiere geopolitiche. Tuttavia, le crisi in Ucraina e Libia hanno evidenziato come sia assolutamente necessario un approccio comune. L’alternativa è l’irrilevanza delle politiche nazionali e la continua rincorsa dell’emergenza. Una vera sfida per Federica Mogherini e per il futuro dell’Unione.

*Andrea Piazza è laureato in Relazioni internazionali, studia Scienze dell’amministrazione all’Università di Bologna. Si interessa di sistemi politici, diritti civili, medioevo romagnolo e cappelletti al ragù.

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