TRA FLESSIBILITA’ E DIRITTI: IL LAVORO AI TEMPI DEL JOBS ACT

di Maurizio Fionda –

Non entro nel merito delle soluzioni tecniche perchè il discorso diventerebbe molto lungo e complicato, mi soffermo quindi sui principi generali in relazione a tre fattori critici: flessibilità, diritti, produttività.
Flessibilità: La flessibilità è una qualità essenziale dell’impresa per competere e per fare fronte alla mutevolezza incontrollabile del mercato, in particolare in questa fase storica dove i modelli di business tradizionali sono in crisi e i nuovi modelli si debbono “inventare” sul campo.
Rispetto alle necessità dell’impresa il lavoro è totalmente asimmetrico perchè normato in rapporto ad un’epoca dove le imprese potevano “vivere di rendita” sulla base del posizonamento ottenuto sul mercato.
Oggi nessuno può più vivere di rendita, è ovvio, e il lavoro è una commodity che l’impresa acquista dove è più conveniente e più produttiva, il mercato del lavoro italiano non può trascendere da queste nuove regole perchè altrimenti è “fuori mercato”, cioè non si vende… è quello che sta succedendo adesso anche in parte dell’ Europa.
I diritti sono una grande conquista della nostra civiltà… ma occorre una distinzione.
Ci sono diritti “Erga omnes” cioè ogni uomo ne è portatore per il solo fatto di esistere, l’uomo li “riconosce” come preesistenti e si limita alla loro codifica nella Carta costituzionale… quindi è la collettività … lo stato a doverli tutelare.
La massima espressione di questi diritti è contenuta nella “UNIVERSAL DECLARATION OF HUMAN RIGHTS” (http://www.un.org/en/documents/udhr/index.shtml), naturalmente si parla anche di lavoro … Art 23.
Ci sono invece diritti “inter partes”, cioè sono il risultato di un contratto tra parti e comportano reciproche responsabilità … per esempio i contratti di lavoro che sanciscono uno scambio di diritti/doveri tra imprese e lavoratori… la regolamentazione di questi diritti deve essere oggettiva … pur riconoscendo la disparità di forza … ma con l’obiettivo di tutelare i legittimi reciproci interessi.
La distinzione tra i due tipi di diritti è strategica perchè, è ovvio, le imprese non possono farsi carico dei diritti universali, non ne hanno i mezzi … su questo argomento in Italia è urgente una profonda riflessione altrimenti, ed è ciò che sta accadendo, si torna indietro anche sulle importanti conquiste civili che i lavoratori hanno ottenuto in passato… vedi il diritto alla rappresentanza sindacale a Pomigliano o il diritto alla salute alla Ilva, il lavoro nero etc…
Produttività: è un concetto molto astratto che si applica, secondo il tipo di impresa, in modi molto diversi.
I fattori influenti sono quantitativi (ore lavorate) e qualitativi (motivazione alla performance), la mancanza di leve efficaci per agire su questi fattori disincentiva l’investimento e la crescita. La produttività deve essere un obiettivo anche del lavoratore, naturalmente il raggiungimento di questo obiettivo si deve tradurre in una gratifica e comportare il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni strategiche.
Sulla base di questi tre principi, a mio parere, si può aprire una discussione sulle soluzioni tecniche. Ci sono paesi dove questi principi sono in vario modo implementati:Germania, UK, Spagna (riforme recenti), etc… Poichè sulla questione l’Italia è in ritardo… a questo punto ci conviene decisamente partire dalle esperienze fatte dagli altri paesi.
Spero che questa breve riflessione sia utile.

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